Non voglio un lavoro, ridatemi il mestiere – PARTE 3

Se va tutto bene, adesso dovresti provare un po’ di rabbia. Nei confronti del mondo che ti circonda oppure nei miei. Puoi provare sconforto per la condizione attuale dell’occidente… Oppure puoi pensare al potere che hai nelle tue mani (o meglio, nella tua testa) perché stai per scoprire come liberarti.

Se invece ce l’hai con me e con le idee che espongo, benissimo, significa che hai trovato il punto in cui scavare, la x sulla mappa del tesoro!

Negli ultimi anni mi è capitato sovente di confrontarmi con genitori e figli adolescenti, e il motivo principale dei loro dissidi è sempre lo stesso: i genitori vogliono che i figli studino, trovino un lavoro sicuro e non diano preoccupazioni (insomma, che si tolgano i grilli dalla testa).

I figli, al contrario, esprimono in maniera dirompente e spesso inconsapevole un concetto tanto semplice quanto potente: “caro genitore, non mi freghi, io lo vedo che non sei felice e che hai rinunciato ai tuoi sogni in cambio delle presunte sicurezze che ti dà il lavoro che tanto difendi, ma preferisco provare a essere felice piuttosto che avere la certezza che soffrirò, mi ammalerò, ingrasserò, mi arrabbierò e vivrò in funzione del denaro.”

È merito di questi ragazzi se stai leggendo queste pagine ed è per loro che le ho scritte. E, in fondo, anche un po’ per gli adulti: per dimostrare che i rischi sono limitati.

Immagina una mattina di qualche anno fa… Frequentavi ancora le scuole elementari, magari erano i primi tempi… Ti svegli e c’è una bellissima giornata… Il giorno precedente hai iniziato un’attività importante con i tuoi amici e alla prima ora c’è la tua materia preferita… Naturalmente hai voglia di fare colazione, prendere energie e correre a scuola.

Qualche giorno dopo, invece, ti svegli e piove… C’è pure il vento… Non hai nessun gioco in corso con i tuoi compagni e alla prima ora dovresti ascoltare la lezione più noiosa al mondo… L’unico tuo desiderio è ritornare a dormire. Naturalmente, i tuoi genitori ti costringono ad andare a scuola (e in parte hanno pienamente ragione).

Scenari del genere si ripetono costantemente nella vita di un bambino: anche quando si tratta di mangiare, oppure di andare da qualche parte… Le persone, le reazioni e i comportamenti cambiano, ma c’è un elemento che accomuna tutti i bambini: sanno perfettamente cosa piace a loro e cosa invece vorrebbero evitare. Il loro senso della felicità funziona benissimo: sanno perfettamente cosa fare per essere felici e riconoscono all’istante ciò che li rende infelici (non hanno ancora imparato che a volte occorre tapparsi metaforicamente il naso e recarsi sul posto di lavoro perché c’è un mutuo da pagare).

Quindi la situazione è piuttosto semplice: da bambini sappiamo perfettamente cosa ci piace e cosa non ci piace e sappiamo perfettamente cosa vogliamo fare e cosa vogliamo evitare; l’organizzazione all’interno della quale ci troviamo, però, pretende che noi facciamo determinate cose, sia che ci piaccia farle sia che non ne abbiamo voglia.

A quel punto nella testa del bambino sorge un dubbio: “o sbagliano gli adulti o sbaglio io…” Eh sì, perché se un individuo si ritrova costantemente a volere alcune cose e a essere costretto a farne altre, si accorgerà presto che c’è qualcosa che non va, giusto?

Se vogliamo andare al cinema e abbiamo troppo mal di testa, il fatto di essere costretti a stare a casa non ci piace, ce lo dice anche la pubblicità! E se questo evento capita troppo spesso chiunque inizia a farsi qualche domanda.

La maggior parte dei bambini, purtroppo, propende per la seconda possibilità e si convince di sbagliare: il fatto di volere così spesso cose che gli adulti non vogliono o che ritengono sbagliate o impossibili inizia a essere insostenibile e così il senso della felicità si incancrenisce e diventa senso di colpa.

Ci sono poi bambini che invece nutrono e mantengono forte e in salute il proprio senso della felicità e se ne fregano di piacere agli adulti, di soddisfare i bisogni altrui o di accettare le paure che la TSI ci propina: fanno solo quello che amano veramente e se ne fregano dei brutti voti o degli insuccessi temporanei, perché sanno cosa vogliono e credono in se stessi.

Questi bambini, crescendo, hanno il brutto vizio di diventare ricchissimi e molto spesso famosi. A questo proposito, l’autobiografia di Keith Richards (per gli sfortunati che non lo conoscono, è il chitarrista dei Rolling Stones) è il manuale d’istruzioni perfetto. 

In qualsiasi ambito, non importa cosa fai o quanta tecnica hai: ciò che conta è l’intensità con cui vivi l’esperienza e la generosità con cui la condividi. Le persone non comprano né il meglio né il giusto: le persone cercano ciò che emoziona e ciò che funziona.